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Histoire cruelle
“Se allungassi una mano, potrei toccare la luna che sembra congelata nella pura immobilità di ghiaccio di questa limpida notte. Chissà, Forse questa sarà la mia ultima notte... Ho freddo: forse a causa di questa febbre maledetta che mi divora lentamente, traghettandomi con doloroso accanimento all’Acheronte.
Ho paura di morire.
Mi chiedo se tutti coloro che vedo lassù, mentre mi osservano severi da ogni stella con i loro volti pallidi, gli occhi spenti e il sorriso smunto, ne abbiano avuta altrettanta. Quando arrivano ad affrontare l’ultimo Istante, le persone reagiscono nei modi più impensati, io lo so bene!
Tosse maledetta! Sputo sangue e muco e il sapore ferroso mi riempie la bocca... Soffoco, perdio!
Madame Grisson mi porge un fazzoletto... Sacré diable, le faccio orrore! Sta qui solo per avidità, perché la pago bene, vecchia maledetta! Io stesso mi odio e non mi sopporto nel vedermi così ridotto... un relitto che affonda, ecco cosa sono! Eppure, fino a non troppo tempo fa ero forte, ero possente. Dio mi perdoni, mi credevo immortale, a volte...
Io ero il Signore della Morte, ecco chi ero!
Fa freddo, certo. Ma d’altro canto non esiste coltre o coperta in grado di riscaldarmi. Il mio è un freddo interiore, forse quello delle anime morte che mi porto nel cuore. Ne ho uccisi tanti! Credevo di fare il mio dovere espletavo una sacra Missione, così pensavo. Invecchiando comincio però ad aver dei dubbi. La vecchiaia è un tempo di riflessione e di romanticismo, dicono i poeti: magari hanno ragione. O forse mi sto solo rincitrullendo. In fondo, poco me ne importa.
Sono un assassino io? O non piuttosto un giustiziere? Se sono un assassino, sono probabilmente il più temibile omicida della Storia.
Ho ucciso centinaia di persone: nobili e borghesi; preti, donne, ragazzi... Generalmente sono morti senza soffrire. Ho sempre avuto nel sangue l’abilità di dare la morte in maniera indolore. O quasi. Non ho mai odiato nessuno di quelli che ho giustiziato. Ho ucciso perché andava fatto, non si è mai trattato di una faccenda personale... Mai! Non mi sento colpevole, ma la Morte si avvicina e cerco disperatamente nelle sue orbite ghignanti una risposta ai miei tanti perché.
Quando ero giovane non mi ponevo tutte queste domande: uccidevo e basta. Uccidere era il mio mestiere, e lo facevo molto bene!
Oggi rifletto in questo letto sporco dei miei umori di vecchio e mi rotolo nel truogolo dei miei rimorsi.
Verrà la Morte e mi prenderà per mano. Oddio, che male! I polmoni mi scoppiano e la penna trema... Una macchia rossa sul lenzuolo: sangue ed inchiostro si mischiano insieme... La linfa della vita con quella dei ricordi.
Presto o tardi, un tratto di penna metterà fine ad entrambi, perché così finiscono gli uomini, siano essi re o plebei... Cittadini senza più voce, corpi senza più vita. Così passa la gloria del mondo... Eternamente, crudelmente! Oggi sei un potente e domani... Domani sei pasto per vermi luridi e grassi. Che burla infame!
Ne ho uccisi tanti e mia virginale e dignitosa Sorella mi ha sempre aiutato a dare la giusta morte ad ognuno. Forse (oso sperarlo!) indolore; certo rapida e sicura. Un attimo di terrore assoluto, come lo è il mio, ora che sento il freddo della Falce sul collo, poi il Nulla!
E’ dunque questo, mio Dio,il giusto prezzo da pagare per un uomo che ha sempre fatto il suo dovere? Ho contribuito in maniera fondamentale all’accensione del Lume della Ragione io: nessuno mai è tornato a dirmi che la cosa non era stata giusta; mai un’operazione fu da me eseguita men che a regola d’arte!
L’unico che mi ha dato dei grattacapi e che oggi mi fa restare nel tormento è il Capeto. Ho ucciso, e male, l’Unto del Signore... Mi perdonerà Iddio?
Era sempre così: lo scivolare rapidissimo nelle guide ben oliate e poi il tripudio del sangue, l’urlo della folla, il rito dell’Esecuzione quasi sospeso nel tempo e nello spazio. Alla fine, restavamo in tre, la Ghigliottina, la Testa ed io. Noi eravamo i soli protagonisti che sapessero quale fosse realmente il dramma che stavamo recitando. Gli altri erano solo comprimari...
Perfino quell’odioso Santerre, spocchioso e tronfio con i suoi soldatacci pronti a respingere chiunque avesse voluto salvare all’ultim’ora il Re, non contava nulla, con la sua sciabola ridicolmente sguainata in quella mattina del 21 di Piovoso, freddo come questa notte, ma illuminato da un grigio sole che pareva non volersi mai più arrendere a sorridere visto quello che noi, uomini retti ed illuminati, stavamo facendo in nome e per conto della Sacra Rivoluzione.
Luigi lo sapeva e lo sapevo anche io... Eravamo quasi due complici, in quel momento:lui la vittima,io il carnefice,eppure uniti indissolubilmente. Finché potei decentemente, lo lasciai fare, anche se Santerre, il Mastino di Robespierre, mi guardava con odio malcelato. Lì sul palco non aveva alcun potere: il capocomico ero io e io solo decidevo i tempi e i modi.
Si volse al popolo, il Re; gridò che moriva innocente e che mai avrebbe voluto, così si augurava, che il suo sangue avesse a ricadere sulla amatissima Nazione di Francia!
Lo legai ed egli mi sorrise... Lo ricordo ancora, quel sorriso: non era il sorriso di un tiranno, ma quello di un uomo semplice che va sereno alla morte, certo di una vita migliore. L’avrò anche io il premio di una vita migliore, o sarò condannato, per quella morte orribile, a vagare negli Inferi per tutta l’Eternità?
La lama cadde sicura e mia Sorella la Veuve mi sussurrò il suo gelido bacio. Lo faceva sempre mentre calava, sbieca per Volontà Regia: fatale e precisa come la rendeva la mia mano. Sembrava viva, ed era bellissima mentre scendeva, accompagnata dal peso della Giustizia del Popolo.
Così era ogni giorno, molte volte al giorno; limpida e sicura come il sole che s’alza ogni mattina, fino anche Dio lo vorrà. Anche la mia Lama si sollevava e scendeva pietosa, certa di essere l’incarnazione della Giustizia popolare, come io ne ero certamente il modesto ma finissimo interprete finale.
Quel giorno però, forse per l’emozione, avevo disposto male la traversa sul collo di quel Re che si era appena rivolto al popolo sostenendo valorosamente la sua innocenza...
Luigi strillava come un maiale, e dovetti io stesso saltar velocemente sul legno e spingere giù con forza selvaggia la lama per tranciargli il collo! Orrore! Le mie mani erano adesso lorde del sangue di Luigi.
Il sangue del Re Capeto, il Sang Real... Forse avevo versato il sangue stesso di Gesù Cristo; almeno così mi è stato detto.
Non era blu il sangue di Luigi, ma rosso, proprio come il mio. Era però un sangue speciale, che dava davvero i brividi; quando esposi la testa del Cittadino Luigi, perfino le sdentate ed arcigne tricoteuses che sferruzzavano ridendo ad ogni testa caduta, tacquero e io ne sortii per sempre mutato e terribilmente sconvolto...”
La stanza era fredda e solo un lume gettava un poco di luce gialla all’intorno. Una luce malata, malsana, come malsano era del resto il luogo... Odore di muffa, squittii di topi neri dagli occhi rossastri che sembravano in attesa di potersi nutrire con l’anima degli sventurati che avevano osato discendere le scale antiche di marmo viscido che egli stesso aveva disceso poco tempo prima quella sera.
L’uomo si guardò intorno, per essere certo che solo i ratti fossero testimoni silenziosi del suo crimine. Accertatosi di esser da solo, infilò furtivo nel panciotto i fogli di carta ingiallita e fragile... Aveva paura, doveva riconoscerlo, ma ne era valsa la pena, di questo era sicuro!
Tutto si sarebbe aspettato meno che gli capitasse quella drammatica, atroce lettura sotto agli occhi. Questo era certo come certo era il fatto che quelle pagine testé rubate, gli avrebbero fruttato abbastanza per tacitarsi la coscienza. Quanto poi al prezzo che aveva pagato al custode... beh, quella era una ben misera cosa, rispetto al tesoro straordinario che aveva testé nascosto, a pesargli sul cuore.
La paura l’avrebbe scacciata con un buon bicchiere di vin caldo, al quale avrebbe meritatamente fatto seguito la gioia per il successo.
Era sceso nel luogo più remoto, il più segreto Sancta Sanctorum di quella biblioteca pubblica. Un luogo vietato ai comuni mortali, di cui aveva sentito parlare per caso da amici scrittori. Lì venivano tenuti segregati i volumi più misteriosi e pericolosi di tutta Parigi, così gli avevano detto. La cosa si era rivelata esatta, anche se mai nessuno avrebbe immaginato di poter trovare quello che a lui era capitato di scoprire!
Immerso nella putrefazione stagnante e muffosa dell’Enfer, come veniva chiamata quell’enclave maledetta, comprensibilmente mai aperta alla pubblica consultazione, egli aveva scorso volumi tremendi, pieni di oscuri disegni, di immagini oscene e blasfeme oltre il limite della sopportazione umana. Neppure osava ricordare i titoli che gli erano scorsi sotto agli occhi, dal “Malleus Maleficarum” fino al più osceno e terribile di tutti: quel “De Lucifer Vitae et Virtutem”, redatto tanti secoli prima dall’oscena setta diabolica che ostentava la sua malefica essenza anche nel nome che si s’era scelto: “Sacrum Cardinalium Collegium”.
E guarda il caso, proprio nell’aprire un antico grimoire che recava una nota sbiadita in cui si affermava fosse rilegato addirittura in pelle umana, aveva rinvenuto il suo tesoro! Sotto alla carta che foderava la copertina, aveva sentito un calore strano.
C’era, a cercarlo, un lievissimo rigonfiamento che gli sembrava, potenza dell’immaginazione, pulsare sotto alla sua mano.
Non aveva perso tempo: con un coltellino, facendo molta attenzione, era riuscito a sollevare il rivestimento e tra il piatto e la rilegatura, indubbiamente in pelle, umana o meno che fosse, era apparso un plico ripiegato.
Carta molto antica, fors’anche pergamena... Nello scorrerlo, l’orrore di era impossessato di lui, affascinandolo imperiosamente, tanto che aveva divorato ogni parola, ogni emozione che da quei fogli sembrava palpitare fluidamente verso il lettore, quasi che lo spirito del terribile Scrivente li permeasse ancora come quando la mano rugosa e tremolante li aveva vergati, piegandosi alla volontà di quell’uomo temibile e straordinario.
Erano un brandello, seppur cospicuo, delle favoleggiate “Mémoires” di Henry - Charles Sanson, il Boia di Parigi che aveva decollato tanto Luigi XVI, quanto Robespierre.
Per lui erano uno straordinario quanto tremendo tesoro!
Si levò dalla sedia, prese il lume e si diresse verso il corridoio ove lo attendeva il vecchio e disgustoso custode. Questi si fece consegnare la lampada e lo condusse verso l’uscita, profondendosi in catarrosi ringraziamenti per la promessa di un sovrapprezzo “Per il prolungato disturbo, buon uomo!”
“Sì, Monsieur... Come desidera Monsieur!” fu la risposta biascicata in alcolici arzigogoli mnemonici dal ferino sentore di osteria.
Arrivato sull’uscio, l’uomo gettò al vecchio bavoso le due monete e sorrise: aveva già in mente il titolo del suo libro tratto da quegli appunti d’inferno: “Le memoires d’un Bourreau. Par Honoré de Balzac”
Sarebbe stato un successo, lo sapeva!... La gente avrebbe adorato il dipanarsi delle memorie di un boia come Sanson e lui, il grande Honoré, gli avrebbe elegantemente confezionato la giusta veste per consegnarle all’eternità!
Uscì nel gelo di quella notte in cui i vagiti del nuovo Anno non erano ancora del tutto sopiti.
Piovoso era il nome con il quale i sanculotti avevano ribattezzato gennaio e la pioggia sferzante che cadeva copiosa, sembrava voler perfidamente giustificare quel nome con i suoi fastidiosi aghi di ghiaccio liquido.
Pochi passi, e Balzac si ritrovò di fronte all’imponente chiesa di Notre Dame. Le guglie gotiche sembravano urlare, più che invocare la loro preghiera verso il cielo imbronciato. Non si vedeva alcuna stella nel cielo, ma una folata più violenta spazzò per un attimo le nubi scure, consentendo per un attimo alla pallida testa mozza della luna di apparire per un saluto veloce.
Un ghignante gargoyle si riflesse nell’algido argento dell’astro. Sembrava che il suo eterno sorriso demoniaco, che forse era invece davvero una smorfia minacciosa e protettiva contro le forze del Male, fosse direttamente rivolto a lui.
Honoré rabbrividì e si strinse nel mantello come se fosse una placenta rassicurante. L’acqua che usciva dal doccione sembrava pianto... Un pianto stanco e crudele. Stanco e crudele, già... Proprio come gli appariva in quell'attimo Parigi; o come forse tutto sommato era davvero il mondo! Edited by AndreaEmiliani - 17/11/2015, 11:03
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