Storie di Carta

Il Petalo bianco e il Fungo cremisi (dalla Crociera con tema "Ribelli")

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view post Posted on 13/3/2024, 08:21
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Capo della Corporazione del Vascello, a lui tutti devono fiducia, lealtà, ma soprattutto rispetto. A lui spetta l’intrattenimento delle Sirene e delle altre Creature del Mare, nonché di tutti i Fantasmi e le Fantasmine d’Autore.

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Molti luoghi.. nessuno dei quali, in fondo, mi è poi tanto lontano!:-)

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Il Petalo bianco e il Fungo cremisi




Sono qui, immobile nella "Seiza", la posizione tradizionale, pronto a scrivere quel poco che ancora c'è da scrivere ancora una volta: l'ultima.

Non scriverò però solo con il pennello e con ideogrammi scanditi nelle volute cupe della china sciolta nell'acqua.

Il mio è infatti uno scritto che non può essere perfettamente espresso su di un foglio di carta.

Le parole che si formano nella mia mente sono vergate sul cuore e ivi rimarranno per sempre: mute, ma vive e sonore come quelle che inutilmente ho gridato rendendo aperta, ufficiale -condividendo, insomma- la mia ribellione sulla terrazza di questo squallido Ufficio 201...

Non temo e non disprezzo la Morte, anzi essa è mia amica ed alleata.

Non è forse vero che il Bardo William Shakespeare scrisse saggiamente nel suo "Giulio Cesare":

"I vigliacchi muoiono molte volte prima di morire, mentre i coraggiosi provano il gusto della morte una volta sola"?

Compagna di vita per gli eroi che sanno di non doverla vedere come un mostro pronto a ghermirli, ma piuttosto come una divinità che spiega le sue ali come fosse un argenteo airone levatosi per condurre chi la sappia affrontare ed amare verso la gloria perfetta ed indelebile della Storia; questa è la morte, come ci insegnano i Sosen, i nostri Onorevoli Antenati, mostrandoci il Dō, il percorso che si deve intraprendere se si vuole raggiungere la perfezione!

I fiori di crisantemo che curiosamente ed inaspettatamente ho trovato posti in un vaso ad allietare la stanza del generale Mashida solleticano la mia memoria riportandomi ad un tempo che non è trascorso invano e che ora torna ad essere vivo nel silenzio delle cose invecchiate, morte e poi risorte, turgide e palpitanti come i petali carnosi e puri di questo fiore sacro: sembrano unghie ricurve che grattano via l'onta della vergogna che tra poco sarà riscattata dal mio sacrificio.

Queste candide gemme vegetali sono state un dono inaspettato, certo concesso dall'onorevole Spirito di mia nonna Natsuko, che io considero un vero Kami e come tale ne venero la memoria.

"Sacer facere": rendere sacro l'atto votivo che si sta compiendo...

Eccomi, agnello sacrificale io stesso.
Rendo dunque sacra la mia morte, per far capire con un semplice gesto rituale al popolo che non deve assoggettarsi ad una fine ingloriosa e che solo ribellandosi a questo indegno mercimonio di vite, questa svendita di identità nazionale e tradizioni supreme potrà tornare a quella naturale grandezza che gli fu destinata.

Pochi minuti fa, mentre l'urlo delle sirene e il rumore degli elicotteri che volteggiavano sopra di me, affacciato per la mia orazione funebre pronunciata da questo disonorevole e brutto edificio di fronte al mio ostile ed attonito pubblico, il dolore mi ha circonfuso più di diecimila frecce, come quando volli farmi fotografare trafitto e irto di dardi come un San Sebastiano vivente, alcuni anni fa.

In quei momenti terribili e grandiosi ho ripensato alla grandezza scenografica del momento in cui King Kong, ferito a morte ma ancor ritto sull'Empire State Building, lascia la donna di cui si è innamorato di un amore impossibile adagiandola in perfetta sicurezza per lasciarsi poi cadere nel vuoto perché ormai nulla per lui ha più valore in quel mondo moderno che non gli appartiene e nel quale è stato trascinato in catene dalle natie foreste.

La Natura primordiale, antica Regina, Spirito creativo del mondo, che si ribella di fronte alla cementificazione delle anime, pur sapendo che non potrà sottrarsi alla ingiusta fine, questo il gigantesco gorilla incarna.

Allo stesso modo della stoica Scimmia, si comporta il samurai sconfitto ma saldo nel suo valore: egli infatti non teme la morte ma le si offre consapevole, a viso aperto, per difendere ed elevare in alto la fedeltà al suo Daimyō, confermando la sua ferma volontà di non cedere per nessun prezzo il proprio onore.

Anche Kong venne ucciso da quel veleno e io stesso non ho più ragione di vivere, perché i valori in cui credo sono ormai coriandoli di un luttuoso carnevale per la mia gente offesa, insultata, distrutta e corrotta non solo nel fisico, marcito dal Fungo cremisi che ne ha eroso le carni riducendoli ad inquietanti Yūrei, pallidi e paurosi spettri senza più un perché, per poi essere blandita e vergognosamente coccolata dal profumo dei dollari offerti a piene mani da un vincitore disonesto che alle uchigatane samurai ha opposto l'impersonale ed asettica distruzione radioattiva piovuta da un cielo reso per sempre plumbeo dalla vergogna di una sconfitta ingiusta, ottenuta senza gloria e onore.

Neppure l'ipocrita carità dei diavoli occidentali poté renderla meno oscena.
Con quel denaro hanno ricostruito un Giappone di cartapesta, non quello solennemente autentico dei vetusti castelli dei grandi Daimyō e dei nobili Clan feudali intrisi di antichi cerimoniali e tradizioni millenarie!

Il mio Paese, la mia Patria, la mia Gente, oggi sono malati, e il morbo che li avvelena lentamente ed inesorabilmente ha un nome: Occidente!

Le urla e le offese dei giovani militari del Jieitai, il cosiddetto "Esercito di autodifesa" che certo nulla hanno a che vedere con l'onore e la tradizione antica che essi orgogliosamente sostengono di incarnare, mi hanno dilaniato e amareggiato, ma non per questo ho disertato dal proposito che comunque avevo in mente fin da quando, con i fedelissimi amici e camerati del Tate No Kai -la Società degli Scudi che io stesso ho fondato- abbiamo deciso questo ultimo gesto di gloria imperitura per noi, ma soprattutto per il Giappone immortale!

Mi onoro infatti di essere oggi l'ultimo Samurai.
Ho idealmente indossato la Yoroi, la grande armatura di questi leggendari guerrieri e servitori.

Intendo anche io come loro, seguire fino all'ultimo i dettami del Bushidō: Onestà e Giustizia, Eroico Coraggio, Compassione, Gentile Cortesia, Completa Sincerità, Dovere e Lealtà.

Kong, nel sublimare in modo così tragicamente splendido la sua vita primitiva urlando il suo rifiuto, la sua selvaggia ribellione alla schiavitù del mondo occidentale, ha commosso i cuori degli spettatori; allo stesso modo io oggi morirò con onore, perché solo chi muore dignitosamente può sperare di varcare la soglia dell'eternità!

Il grande compositore italiano Giacomo Puccini ha saputo realmente cogliere questo aspetto della virtù giapponese.

Infatti egli fa dire a Cio Cio San -ossia Madama Butterfly- in procinto di suicidarsi secondo il rituale del jigai: "Con onor muore chi non può serbar vita con onore"

Anche una vita breve è abbastanza lunga per vivere con virtù e onore, così diceva il grande Cicerone.

Senza dubbio, come ho scritto nel mio biglietto di addio, anche se la vita è breve, io voglio vivere per sempre!

Speravo che con l'affievolirsi della grafia della Storia il mio popolo si sarebbe infine deciso a capire, ma ciò non è stato; per questo ora io stesso mi faccio pallida pagina bianca di carta di riso e con preziose gocce rubino sovrascrivo e sostengo la voce di un obliato orgoglio, riscattando oggi l'ignominia col purissimo sangue che sarà versato e che cancellerà ogni Kegare, ogni cosa impura.

Il mio testamento, insieme al mio sacrificio, possano risollevare le sorti e l'onore di un popolo che oggi sembra non essere più il mio; siano essi acqua sorgiva di vita nuova per il glorioso Crisantemo che splende, dorato e infinito, sul Trono del nostro Imperatore!

Stringo nelle mani calzate dai guanti bianchi il ricordo della nonna, che sempre amava tenere dei candidi crisantemi in casa.

Io stesso gliene misi alcuni tra le mani, ed esse mi apparvero fatte di gelido ed evanescente cristallo quando lei morì.

Il bianco in Oriente è considerato il colore del lutto, ma solo dalla morte rinasce la vita.

Sono inginocchiato, come prevede la Tradizione dei nostri antenati, gloria sia a loro.

Le stole che mi cingono le gambe impediranno che io, nello spasmo della morte, possa cadere in maniera volgare.

La morte è arte allo stato puro e va affrontata come appunto si fa scrivendo una poesia o componendo un'opera d'arte.

"Se un uomo non sa affrontare la morte come si deve, egli è forse più fragile di un bicchiere di cristallo, ma l'uomo valoroso è forgiato invece nel brillio del sole e dell'acciaio!"
Così ho scritto in un libro tempo fa.

Ho imparato, nel corso dei miei giorni, che questa alla fine è la chiave per comprendere la vera filosofia degli antichi ed onorati Samurai.

Il Bushidō , la Via del Guerriero, per quei valorosi guerrieri e nobilissimi servitori non è altro che il culmine della comprensione della vita, e questa strada io stesso ho intrapreso; adesso voglio percorrerla fino allo splendido istante che già pregusto andando felicemente ad assaporarlo.

Quando scrissi il mio "Confessioni di una maschera", volli proprio far conoscere questo pensiero -il mio pensiero- anche a chi non era un esperto iniziato.
Volli insomma illustrare il mio essere uomo tra gli uomini e non ebbi timore nel dire che il corpo è un tempio e come tale va adorato e onorato.

Noi siamo persone e questo termine greco indicava appunto la maschera dell'attore.
Tutti noi infatti indossiamo molte maschere durante la nostra vita, ma solo nel momento in cui le persone si confessano trovandosi a confrontarsi in prossimità della morte, raggiungono la loro vera essenza, mostrano i loro veri volti gettando via ogni maschera; io questo ho voluto dire, scrivendo quel testo.

Questa mia sacra missione del resto ho poi proseguito fino ad oggi - fino all'ultimo mio istante- cercando di insegnare questa dottrina ai giovani che mi hanno seguito ma anche a chi semplicemente leggerà un altro mio libro: "Lezioni spirituali per giovani samurai", forse l'opera che amo di più tra quelle che ho creato

Ho cercato (forse oggi apparentemente fallendo, ma in realtà no, perché questo mio gesto -ne sono sicuro- mi renderà una guida per tanti giovani. In questo caso non sarò morto invano) ho cercato, dicevo, di insegnare quali debbano essere i principi che ispirano un uomo retto e cosa renda la sua vita qualcosa di veramente degno di essere vissuta.

Ebbene, se non potrò fare quello che avrei voluto -ossia ripristinare con un colpo di reni il regime ancestrale del Giappone ed annullare quella che secondo i media americani rappresenta una resa incondizionata della mia Patria- almeno avrò donato questa possibilità a chi, leggendo le mie parole, potrà proseguire il cammino verso le vette immacolate e virginali ove con leggerezza e senza lasciare traccia a contaminare la purezza del minuto mosaico dei cristalli di neve, io oggi reverente mi spingo passo dopo passo.

Sì, quella stessa neve candida di cui sembrano parlare i fruscii dei fiori che paiono intenti ad osservarmi dal loro vaso, come se fossero sfiorati da dita invisibili ed incorporee.

La mia Patria è ridotta ad un nonnulla rispetto a quello che è stata la sua lunga storia.

Il Giappone è oggi un insulso giocattolo, un'arrendevole marionetta nelle mani dei suoi burattinai: i padroni occidentali da un lato e i comunisti russi e cinesi dall'altro.

In realtà la resa del nostro popolo fu tale solo apparentemente; infatti tanto stolti e boriosi sono gli occidentali che spocchiosamente credettero di leggere nel testo del "Gyokuon-hōsō" -ossia la Trasmissione della voce del Gioiello, pronunciato da Sua Maestà alla radio solo per evitare il genocidio del Suo popolo- un armistizio totale.

Essi si accontentarono, convinti di aver ottenuto una reale rinunzia alla divinità imperiale.

Invece quelle parole (volutamente scritte con un linguaggio di Corte, arcaico e pieno di sfumature), almeno per coloro che seppero leggere correttamente quel proclama storico, rimasero solo una brezza leggera sulle onde del mare che gli abissi profondi delle nostre coscienze di sudditi fedeli neppure si accorsero fosse passata sopra di loro.

Assurdo per noi pensare ad una abiurata discendenza divina dell'Imperatore, lui che è figlio prediletto della grande Dea Amaterasu!

"L'impensabile è accaduto, l'impossibile si è avverato!"
Così ha detto Sua Maestà, ma per chi abbia capito come stanno le cose, nulla in realtà è davvero cambiato sotto ai raggi scarlatti del Sole del Giappone!

Le origini, le radici, non possono essere semplicemente cancellate per nessuno, figurarsi per il nostro amato Tennō, Sua Maestà l'Imperatore, siano eterna gloria e lunga vita a lui!

Del resto, neppure io ho rinunciato al mio passato e, anche se ho deciso di cambiare il mio nome, non ho certo dimenticato le mie origini e la mia famiglia.

Solo, adottando il mio nuovo nome ho riunito il suo suono al mio spirito; proprio per questo ho scelto di chiamarmi Yukio (nevoso) Mishima (che è il luogo più bello da cui ammirare il sacro Monte Fuji).

Ora, mentre dal di sotto arrivano le grida scimmiesche della polizia e dei cadetti che tentano di sfondare il portone e di arrampicarsi su per la facciata, tutto mi appare perfetto e nemmeno quei volgari versi di macachi in uniforme con i loro volti bezzenfi per lo sforzo, trasfigurati come maschere grottesche di attori del teatro Nō, possono turbare il mio animo.

Mentre rifletto ancora un poco prima di dare libero sfogo al mio amplesso con la Morte, mi vengono in mente i versi di una bellissima poesia di Lord Tennyson, che egli inserì in una sua antologia e che ora scivolano sulla lingua come lo sciame delle Perseidi in una notte d'estate, rotolando e pulsando nella mia mente come i grandi tamburi da guerra Taiko...

"Or giace il petalo cremisi, ora il bianco:
non v’è onda dei cipressi nell’ombra dei palazzi;
né riposa la pinna dorata del fonte porfido:
sveglia la lucciola: desta anche te e me.

Or si tende il latteo pavone al pari di uno spettro,
e al pari di uno spettro brilli su di me..."


Parole immortali...
Che bella cosa le sue parole: sembrano scritte da un samurai dell'epoca Heian!

Onde di prosa che continuamente si infrangono sulla costa come le emozioni fanno sulle nostre anime, già.

Ma il tempo è giunto...

Con calma e dignità disfo l'involucro di seta bianca che tra poco verrà inondato da nuova vita in linfa rossa di languida emottisi poetica.

Sfodero il mio antico Yoroi dōshi, il corto pugnale detto "Colui che fora le armature".

Avrei preferito eseguire il taglio con la Wakizashi -la spada corta detta la "Guardiana dell'Onore"- perché essa è la più piccola delle due spade che costituiscono il Daishō, quindi più maneggevole.

La Wakizashi era anche l'arma che sempre, perfino in presenza del suo signore, un samurai poteva e doveva tenere stretta nell'obi del suo kimono.

In determinate occasioni si poteva affidare ad un servo la Katana, deponendola in segno di rispetto per lo Shōgun o il Daimyō, ma la Wakizashi non poteva mai abbandonare il fianco del suo proprietario, neppure al cospetto dell'Imperatore!

Purtroppo non ho potuto portarla con me per non creare sospetti nelle guardie che mi hanno introdotto in questo ufficio insieme ai miei amici, ignare di quanto intendevo fare.

So comunque di agire nel migliore dei modi eseguendo il Rito dell'Harakiri come va eseguito; non ci sono dubbi in fatto di procedura, stanti le circostanze particolarissime.

Dopo aver irrorato con acqua purissima la lama, l'avvolgo nella stessa morbida guaina che fino ad ora l'aveva celata mentre sento il fruscio dei passi solenni dei miei cari amici Masakatsu Morita e Hiroyasu Koga che si posizionano dietro di me per aiutarmi a morire con dignità.

Tutti abbiamo stretto sulla fronte la fascia Hachimaki al centro del quale spicca lo Hi-no-maru, il disco rosso del Sole del Giappone.

È lo stesso simbolo che indossavano i nostri valorosi Kamikaze prima di gettarsi con i loro caccia "Zero" sulle navi nemiche, cavalcando come se fosse un destriero il Vento della gloria, terrorizzando gli occidentali che non capivano la bellezza di quel sacrificio compiuto per la Patria e per l'Imperatore, come facevano gli antichi samurai indossando le loro Men-yoroi, le terrifiche maschere da guerra.

Ho dovuto pregare per due volte Morita di essere il mio Kaishakunin, ossia colui che, dopo che mi sarò squarciato il ventre da sinistra a destra, eseguirà il suo compito nell'atto del Daki-Kubi, l'abbraccio del collo.

Mi disse che non se la sentiva perché troppo grandi sono la sua devozione e il suo affetto per me, ma avendoglielo chiesto per la seconda volta in nome dell'onore e dell'amicizia, è stato obbligato ad ubbidirmi, questa è una regola ferrea per un samurai.

E così che il rituale antichissimo vuole.
Così è sempre stato e così sempre sarà!

La purezza della morte non deve mai essere sporcata dalle pagine della vita, troppo spesso vergate da caratteri incerti e tremanti.

Sbavature di inchiostro troppo duro o troppo diluito dagli eventi di ognuno possono rendere illeggibile o confusa la scrittura dei kanji con cui ogni persona traccia la sua testimonianza del proprio passaggio sulla terra e nel mondo.

La nascita è fatta di pianto, di lordura corporea...
La Morte no!

La morte insegue insieme a noi i nostri sogni e ci insegna come realizzarli; in cambio chiede solo un puro intento di riscatto da parte nostra, perché così si perfeziona il patto: offrendosi ad essa con amore e rendendole perfetto omaggio nella sua coreografia spirituale.
Così tutto sarà assolto ed essa verrà, cortese e pronta ad accoglierci per il grande viaggio dell'anima, sublimata nella dignità del coraggio del morituro.

Ora il supremo atto di coraggio e devozione è finalmente giunto e sento il richiamo pungente della lama, già avidamente pronta a saziarsi del mio sangue che uscirà dal ventre ove era compresso in compagnia dello spirito, perché è appunto nell'Hara che esso risiede.

Lascio il mondo volgare di oggi per andare a preparare le basi per un nuovo mondo...

La rosa purpurea si schiude sorridendo come una bocca dolcissima che si apra per l'ultimo, intimo bacio della Vita con la Morte, mentre lo spirito fiotta vagendo neonato, innalzandosi come un elegante airone che sale possente nel cielo luminoso di vita nuova.

L'ultimo verso, fatto di sole e di acciaio, viene scritto dal poeta morente, già fin dalla nascita estinto...

TENNŌ HEIKA... BANZAI!


**********








(dal verbale del testimone Hiroyasu Koga, arrestato insieme ad altri membri del Tate No Kai, rei di avere invaso con la forza e con uno stratagemma la sede del Comando Orientale dell' Esercito di autodifesa del Giappone in data 25 Novembre 1970 e di aver preso in ostaggio il suo Comandante, l'Onorevole Generale Kanetoshi Mashida )

"... Come ho detto, Morita, che era stato scelto da Mishima come suo -sia pur recalcitrante ed incerto- Kaishakunin, attese sulla destra (io mi ero invece posto a sinistra, in qualità di secondo assistente) con la katana levata il momento di cui il Maestro gli avesse comunicato di abbracciare il suo collo nel nobile atto del Daki-Kubi.

Finalmente il pugnale squarciò il ventre di Yukio; egli riuscì con la sola forza delle braccia a spingere la lama, ma questa penetrò troppo a fondo, cosicché i visceri fuoriuscirono, cosa che non dovrebbero mai fare per non insozzare il rituale del Seppuko.

Allora Mishima, rivolgendo uno sguardo supplice a Morita, urlò con tutta la voce possente, seppure in quel momento un po' indebolita dalla ferita e dal dolore tremendo: "TENNŌ HEIKA... BANZAI!"

Mi accorsi subito che il nostro camerata non aveva impresso la giusta traiettoria alla katana, sicché il colpo raggiunse il Maestro alla spalla.

Allora Mishima parve quasi cadere, cosa che non deve succedere in un Seppuko decente e io urlai: "Masakatsu svelto, finiscilo, per carità!"

Purtroppo l'emozione lo vinse: la spada nelle sue mani tremanti sembrava una canna di fiume mossa dal vento e lui colpì una seconda volta, strappando via una parte di pelle dal fianco.

In quel movimento vidi lo sguardo del Maestro e la vita che sfioriva dal suo corpo come un fiore appassito che muore stremato dal gelo, stizzito per l'imperfezione della sua fine.

Morita, tremebondo e sconvolto, tentò comunque un terzo colpo che stavolta si abbatté sul volto del Maestro, squarciandogli la mascella.

Allora, gli presi rapidamente dalle mani la spada e in un secondo decapitai il nostro Comandante.

Naturalmente Morita, disonorato e pentito, fece dapprima un inchino al corpo giacente, poi si tolse rapidamente la giacca dell'uniforme e si inginocchiò per effettuare a sua volta il seppuku, come è giusto faccia il Kaishakunin che ha reso l'esecuzione fukanzen, ossia sporca, imperfetta.

In fondo, sia lui che il Comandante fecero, sia pure in circostanze diverse la scelta giusta.
Meglio: in realtà la loro fu una scelta obbligata.

Semplicemente, come disse un onorevole pilota Kamikaze sopravvissuto allo schianto del suo aereo su una nave nemica, quando i gaijn americani gli chiesero perché avesse fatto quella scelta per lui sublime ma per loro incomprensibile, egli rispose: "Perché... non avevo scelta!"

Così il mio amico, da quell'uomo d'onore che era, afferrò il suo tantō e cercò di fare Harakiri nel miglior modo possibile stante la fretta.

Purtroppo la sua mano non era ferma, sicché la lama del pugnale segnò solo una lieve incisione superficiale sul suo ventre; egli allora mi guardò e sussurrò disperato "Hai!", dando così il suo assenso.
Poi anche lui pronunciò il saluto dovuto al nostro Imperatore.

Così, mentre ancora la sua voce non si spegneva invocando "Diecimila anni al nostro Imperatore!... Banzai!", io con un sol colpo gli tagliai la testa che cadde proprio vicino a quella del Maestro.

Allora il generale Mashida - che, pur essendo in quel momento ancora formalmente nostro prigioniero, aveva in ogni modo scongiurato il Maestro Mishima di recedere dal suo proposito- visto che noi tutti eravamo scossi dai singulti del dolore, represse onorevolmente le proprie lacrime e, inchinandosi rispettosamente di fronte ai due caduti, sussurrò: "Piangete, figli miei, poiché non v'è vergogna alcuna ma onore grande, nel compiangere la morte di un camerata valoroso!"

In quel momento egli stesso lanciò il saluto tradizionale "Tennō Heika!..." poi, alzando le braccia al cielo come vuole l'omaggio imperiale, per tre volte gridò: "Banzai!"

Noi tutti rispondemmo allo stesso modo, imitando il suo triplice gesto.

Mentre la polizia sfondava la porta, io presi un crisantemo bianco che era dentro ad un vaso e lo posai sul corpo del Maestro mentre il sangue, denso e cremisi, ne bagnava i petali immacolati scrivendo l'ultimo verso di poesia mentre il Tamashī -la sua anima- abbracciava finalmente il sole, perché solo a queste rare Anime ribelli e nobili, la Dea del Sole Amaterasu concede il suo abbraccio per elevarle alla luce sacra dell'Infinito.

Così, come egli aveva sempre desiderato, Mishima ora sarebbe vissuto per l'eternità, volando indomito nel cielo con le ali di un airone rilucente d'argento, per sempre libero ed inquieto!"




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